Pane così fragrante e gustoso da mangiarlo da solo come “scaccia-fame”, immaginando ad ogni boccone le massaie che ne avevano chiesto la benedizione segnando una croce sulle forme da infornare e avevano sgranato una filastrocca a labbra socchiuse: “Crisc e binidici comu l’occhi di li pisci. Cori di Gesù e di Santa Rosa fallu veniri comu ‘na rosa”. Il pane che accompagna il formaggio pecorino e le fave, queste ultime cucinate in zuppa o a maccu con finocchietto selvatico, si consumano sia fresche e dolcissime in estate che secche in inverno, come ci racconta Verga ne I Malavoglia. Ed era proprio alla vigilia della festa di San Giovanni che i trezzoti mangiavano le fave nuove perché ritenevano facessero scontare loro i peccati, riallacciandosi a delle credenze antiche che ritenevano tale vegetale associato a molte superstizioni e collegato, soprattutto, al mondo dei defunti. Nelle campagne di Aci Trezza, andando per Ficarazzi, si raccolgono altri ortaggi, come gli asparagi selvatici e le verdure primaverili che crescono spontanee dopo le piogge. Le massaie fanno uso, di solito, degli “amareddi” o “caliceddi” dal sapore gradevolmente amarognolo, oltre al già citato finocchietto selvatico, per preparare le tipiche frittate, simbolo della Pasqua contadina. Invece l’erba puleggia o mentuccia veniva raccolta per aromatizzare alcune pietanze.